In merito alla necessità di un “Nuovo Ospedale Trentino” (NOT), fotocopia del S. Chiara (si dice con meno posti letto) non poche sono le perplessità.

A tutt’oggi non solo non sono note le ragioni per un impegno economico di spesa che, con il metodo del “project financing”, coinvolgerà anche la prossima generazione, ma non si comprende nemmeno quali siano le scelte di politica sanitaria che il Trentino intende fare, e che sono il necessario presupposto per la pianificazione di un nuovo ospedale. Anche perché non sembra proprio che il S. Chiara cada a pezzi. Anzi sono da poco terminati i lavori che hanno aggiunto 2 blocchi di 7 piani, con un impegno di spesa di circa 150 miliardi delle vecchie lire.

Prima considerazione: come si intende organizzare il servizio ospedaliero provinciale? Si vogliono mantenere gli ospedali periferici con le funzioni attuali, oppure si vogliono ridurre a poliambulatori come vorrebbe qualcuno?

La chiusura degli ospedali periferici comporterebbe, come inevitabile conseguenza, un aumento della mobilità su strada per raggiungere l’ospedale centrale. Si consideri non solo il trasporto del paziente ma anche l’assai consistente pendolarità indotta di familiari e conoscenti, spesso necessaria per esigenze di assistenza non altrimenti coperte. Un aumento del traffico, come è noto a tutti, avrebbe conseguenze negative sulla salute collettiva. Ma la conseguenza più deleteria potrebbe essere la inevitabile implosione degli ospedali centrali (o dell’ospedale centrale) in assenza di un filtro dei Pronti Soccorsi periferici: i tempi di attesa del pronto soccorso di Trento sono aumentati dopo la chiusura dei Pronti Soccorsi di Mezzolombardo e del S. Camillo.

Seconda considerazione: già attualmente le periferie hanno meno servizi rispetto al centro. Si pensi ad esempio all’auto con medico a bordo che a Trento può intervenire, quando necessario, a supporto dell’ambulanza. Le periferie non hanno questo servizio. Ed ora qualcuno vorrebbe anche privare intere valli di un Pronto Soccorso degno di questo nome (conseguenza inevitabile della scelta di ulteriore ridimensionamento degli ospedali di valle), costringendo a tempi di percorrenza anche superiori ad un’ora per raggiungere il Pronto Soccorso centrale, tempi spesso non ben prevedibili stanti condizioni di traffico e meteorologiche non certo programmabili. Si pensi alla val di Fiemme e Fassa, al Tesino o alla val Rendena. Gli abitanti delle periferie non pagano forse le tasse al pari degli abitanti di Trento? Perché li si dovrebbe privare di servizi essenziali?

Terza considerazione: si vorrebbe continuare a far credere che il costoso volo notturno dell’elicottero (che nessun altra regione alpina possiede, nemmeno la più ricca Baviera) equivalga a garantire le emergenze in periferia al pari di quella offerta dagli ospedali periferici (con anestesista presente h24). In realtà si sa bene che l’elicottero non può volare in condizioni di scarsa visibilità (nebbia o nubi basse, situazioni non certo infrequenti) e inoltre, come verificatosi recentemente, può non poter volare per avaria. Alla prova dei fatti l’elicottero non si è dimostrato il mezzo più rapido per evacuare i pazienti, come successo ad un gravida a termine con una grave complicanza emorragica che da Arco è giunta al S. Chiara dopo un ora e un quarto (secondo quanto hanno riferito le cronache).

Quarta considerazione: la modalità del “project financing” desta non poche preoccupazioni perché finora si è rivelato un sistema per moltiplicare i costi delle opere (a favore dei privati). Questa modalità è stata ideata da Giancarlo Galan, già presidente della regione Veneto, ex ministro dell’Agricoltura, finito agli arresti per la questione del Mose, amico (dichiarato in più di un’occasione) di Lorenzo Dellai. Con questo sistema ad esempio l’ospedale S. Angelo di Mestre è costato 4 volte di più: l’opera fu realizzata con 241 milioni, 140 dei privati; alla fine costerà un miliardo di euro. Infatti Ogni anno per 20 anni dalla costruzione la regione (salvo una rinegoziazione dopo il rilievo della Corte dei Conti) dovrà pagare ai privati 40 milioni di euro all’anno, 24 milioni attraverso la concessione di alcuni servizi ospedalieri, il resto in liquidità.

Anche per il Trentino potrebbe profilarsi la stessa situazione: per un ventennio o più, sulla presente e futura generazione potrebbe gravare un impegno di spesa che comporterà una parallela decurtazione dei servizi sanitari, forse proprio a scapito anzitutto degli ospedali di valle.

Noi medici (e in ispecie noi Medici per l’Ambiente) sappiamo che i fattori socio economici e ambientali sono i principali determinanti della salute. La possibilità di impiego, di un ambiente vivibile, di un sistema di mobilità pubblica efficiente (meglio se elettrificato su rotaia), di accessibilità ai servizi, sono tutti fattori che sicuramente apportano più benefici per la salute collettiva rispetto ad un investimento, quello per il nuovo ospedale, la cui reale necessità appare ben poco chiara. In più, la qualità della sanità non si misura solo dalle strutture, ma dalla professionalità del personale sanitario che vi lavora. Merita qualche riflessione il fatto che i Trentini vadano spesso a curarsi fuori provincia anche in strutture edilizie più desuete. Infine, la scelta di costruire un nuovo ospedale con la modalità del “project financing” vincolerebbe il bilancio della provincia (e quindi la capacità di creare lavoro e servizi pubblici essenziali) per almeno una generazione. E’ davvero questa la scelta che vuole fare il Trentino?